#RiscrivereilFuturo: Lunetta
Come immagini Venezia nel futuro? Come la vorrei immaginare. Voglio immaginarmela con 100.000 residenti, trasformata in una città che ha saputo diventare attrattiva ed autorevole nell’ambito dell’industria creativa e culturale (trend in crescita), design, architettura, innovazione. Una città perfetta dove il pensiero diventa idea e progetto, perché l’ambiente ispira e forgia, e vivere nella bellezza aiuta a generare bellezza. La vorrei immaginare uguale a sé stessa a volo d’uccello, radicalmente diversa a passo d’uomo, interessarmi a quello che vedo nelle vetrine e non girarmi con disgusto 9 volte su 10. Sapere che aleggia un comune pensiero rivolto al futuro, e che lo si annusi per strada l’odore del pensiero, che si faccia tesoro della nostra storia sul serio, delle proprie capacità manuali ed artigianali, e che le si proietti in una dimensione nuova, dinamica, senza la paura di tradirla. Solo se si conosce bene, a fondo, non si tradisce la tradizione. Vorrei che fosse vissuta da chi ci lavora, vedere le finestre delle case e dei palazzi illuminate, illuminate perché dentro ci si abita, si lavora, ci si diverte e ci si ricrea. Me la immagino con lo stesso livello di offerta culturale di adesso, con una ripresa di quel turismo consapevole, benestante in tutti i suoi significati, che si appropri della città come un residente, che frequenti gli stessi posti e locali, dove ci si riconosca concittadini di una grande città, sconosciuti ma sintonizzati. Dove i turisti non sono in città solo per la città, ma per il modello che la città propone. Un modello esclusivo ma non preclusivo. Cosa possono fare la politica e i cittadini per una rinascita di Venezia? Fissarsi nella testa che Venezia è una città fragile e gravemente malata. Consapevolezza. L’abbiamo ammalata, resa vulnerabile e dotata di un solo anticorpo che è allo stesso tempo il suo virus. Talmente acciaccata che, arrivato un altro virus, l’ha fatta morire all’istante. Spero che risorga da un innesto che migliori geneticamente la pianta vecchia e superata. Si dibatte, rubandosi lo scettro a vicenda, di chi ha gestito meglio la situazione di emergenza durante il Covid: gli scienziati o la politica? Il ruolo della politica è quello di decidere, il ruolo dello scienziato è quello di sottoporre alla politica il materiale su cui decidere. Se la politica e lo scienziato sono illuminati la decisione viene da sé. Basta che uno dei due tergiversi, sbagli, agisca per altri fini, che il risultato diventa disastroso. Vuoi proporre un’idea specifica in uno di questi ambiti: ambiente, residenzialità, lavoro, cultura, sicurezza, turismo? Per lavoro, il mio processo parte da un’intuizione, la smisto come un prisma fa con la luce osservandone lo spettro. Da qui comincio a ragionare per strutturarla in un’idea che diventi realizzabile in tutti i suoi aspetti, che si renda concreta, che sia un oggetto, un progetto o un’idea di impresa. Solo che il processo può essere più o meno lungo. Quello che ho detto alla prima domanda lo considero un punto di partenza, l’1%; farlo diventare un progetto, dargli una struttura per arrivare a dargli un’identità richiede uno sforzo che deve valere la pena affrontare. Ma senza interlocutori che si coinvolgano, che aiutino ognuno con le proprie competenze e risorse, e che abbiano la stessa visione, la renderebbe un’impresa inaffrontabile.
Lunetta